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Crescita

Mamme da legare: Prime parole, intelligibili solo ai genitori

Dalle mie parti si dice che “il figlio muto lo capisce la mamma”. Pare proprio che sia vero.

Prima che nascesse mia figlia, ero letteralmente terrorizzata quando un bimbo piccolo mi rivolgeva la parola: sorridevo imbarazzata, balbettavo qualcosa, mi sentivo “lost in translation” e il mio sguardo implorante cercava quello della madre nella speranza di un aiutino. Oggi, lo sguardo implorante viene rivolto a me che, con sicurezza, spiego agli astanti il volere di mia figlia: “vuole che tu ti metta sul pavimento con lei per giocare con le costruzioni”.

La bambina non storpia le parole, ma ne pronuncia solo alcune sillabe. Dal contesto, poi, ne capisco il significato: se sta mangiando, “ca” vuol dire caldo. Ma, se sta guardando le figure di un libro o guarda la TV, “ca” vuol dire casa. “Pe” vuol dire generalmente scarpe, e “pi” piede.

Alcune parole le ha faticosamente guadagnate, come “acqua”, inizialmente partita come “cocqua”. Altre sono state pronunciate subito correttamente, come “popcorn”. In glottodidattica ti insegnano che la motivazione più efficace per imparare una lingua è quella del “piacere”, prima che quella della necessità. Il che spiega perché popcorn, Peppa e Minnie siano pronunciate senza la minima difficoltà…

A volte vado nel panico come ai vecchi tempi, ma il padre corre in mio soccorso. Qualche notte fa, la signorina si è infilata nel nostro letto. A un certo punto, ha iniziato a lamentarsi: “ciucciu!”. Ma che è, “ciucciu”? “Ma come che è, Graziella? Il ciuccio, ha perso il ciuccio!”. I papà hanno il loro perché, non c’è niente da fare.

Adesso sono molto più rilassata anche al parco: se un bimbo di un anno e mezzo, due, mi rivolge la parola, non mi sento più un mostro a chiedergli di ripetere o a rivolgermi ai genitori per farmi tradurre i vari suoni inintelligibili. Allo stesso modo, quando a parlare è mia figlia, parto con la traduzione simultanea per i presenti. Trascorrete 24 ore al giorno coi vostri figli: non vi preoccupate se a voi sembra ovvio che “dù” voglia dire “giù” e al resto del mondo sembri meno ovvio.

Devo dire che questa fase di interlingua ci sta divertendo moltissimo: si sta creando il nostro piccolo lessico familiare, ci sentiamo come una minuscola comunità linguistica. Ci siamo solo noi 3. Godiamocela, che prima che ce ne rendiamo conto arriverà l’adolescenza coi vari “questa casa non è un albergo” e “non parli più con noi”. Tao tao a tutti.

Foto | Flickr

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