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Cronaca

Il racconto del papà di Elena, la bimba dimenticata in auto nel 2011

Elena aveva solamente 18 mesi quando nel 2011 trovò la morte nell’automobile del papà, che avrebbe dovuto portarla all’asilo: ma quel giorno, che lui non dimenticherà mai, andò dritto al lavoro, scordandosi che dietro c’era ancora la sua piccola.

Trattiene le lacrime il papà di Elena, la bimba di 18 mesi che nel 2011 morì dopo essere stata da lui dimenticata nell’automobile. Dopo il caso del bambino di Piacenza, dimenticato nel sedile posteriore dal papà che ha aperto una pagina Facebook e ha iniziato attività volte a fare in modo che non capiti mai più, ora parla Lucio Petrizzi. Anche lui sta vivendo un calvario simile al papà del piccolo di Piacenza morto in auto.

Era il maggio del 2011, il papà di Elena ricorderà sempre che in auto con la sua piccola stava cantando la canzone di Pippi Calzelunghe, quando lei all’improvviso ha smesso. Lui si è messo a pensare a tutte le cose che avrebbe dovuto fare: le lezioni all’università, i suoi studenti, il trasferimento nella nuova sede, la ristrutturazione della casa, la moglie incinta.

Passando davanti all’università dove insegna chirurgia veterinaria, che si trova proprio sulla strada dell’asilo, si è lasciato distrarre da alcuni colleghi nel parcheggio, dimenticandosi che doveva ancora portare Elena a scuola.

I colleghi sono diventati in un istante il mio pensiero prevalente e seguendo quel pensiero sono entrato nel cortile dell’università e ho parcheggiato. È un meccanismo neurofisiologico, si sconnette la coscienza, si fanno le cose in automatico. Li ho salutati, siamo saliti assieme in ufficio, avevo in testa quello che dovevamo fare durante la mattina. Elena era scomparsa dalla mia mente, per me era all’asilo, al sicuro.

Era il 18 maggio del 2011: la piccola rimarrà in auto sotto il sole fino all’una del pomeriggio, quando il padre per la pausa pranzo salì in auto e la trovò ormai priva di coscienza, ma ancora viva. La piccola, dopo tre giorni di ospedale, è morta, tra la disperazione di mamma e papà, soprattutto del papà, che non si darà mai pace.

Non siamo né mostri né pazzi, mi creda. Lo so che sembra impossibile e assurdo dimenticare un figlio in macchina ma io ci sono passato e lo posso dire: è successo a me, è successo ad altri prima e dopo di me e può succedere a chiunque. A persone normali e perbene, come noi. Negare che possa accadere significa permettere che accada di nuovo. Negli Stati Uniti si parla di più di trenta casi l’anno: possono essere tutti pazzi? Io sono imperdonabile, certo. Ma credo anche che in quello che mi è successo ci sia un difetto del vivere moderno. Questo continuo correre, questo senso del dovere esagerato, questo fare più cose assieme e dover sempre dimostrare di essere all’altezza… centomila obiettivi, risultati da raggiungere, e così ti perdi l’importanza delle cose reali. Finisce che lo spazio per portare tua figlia all’asilo lo ricavi, non è che costruisci il resto su quello spazio. E però se la società ci dice che dobbiamo correre ci deve dare anche la sicurezza per farlo. I sistemi di allarme sulle auto per non dimenticare mai più un bambino sono una possibilità, le scuole e gli asili che chiamano a casa se non vedono arrivare il piccolo sono un’altra possibilità. A questo punto qualcosa deve essere fatto.

Lucio racconta che quando ha sentito del nuovo bambino morto a Piacenza è rimasto senza fiato, perché per lui è stato come sprofondare di nuovo, ritornando a quel giorno di maggio, quel terribile giorno del 2011. I due si sono già sentiti e quando sarà il momento, si incontreranno, per condividere il loro dolore. Un dolore che oggi gli impedisce di accompagnare la figlia più piccola, nata un mese e un giorno dopo la morte della sorella maggiore, all’asilo.

Via | Corriere

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