Educazione
I bambini e l’apprendimento delle lingue: il dialetto.

Vi avevo raccontato della guerra tra le nonne per tentare di insegnare il proprio dialetto alla nipote di sangue misto (pugliese e veneto). Mentre leggevo il romanzo L’amore è un gioco da ragazze, mi sono imbattuta negli esilaranti dubbi di un neo papà terrorizzato all’idea che la sua piccolina parli solo dialetto veneto invece di un italiano forbito.
Era importante, inoltre, parlare in terza persona, perché la bambina non riusciva a distinguere l’io dal tu. Ovvero, il “mì” dal “tì”. Per esempio: “Guarda Olimpia: la palla! Che bella la palla! E’ la palla di Olimpia! Adesso la mamma dà la palla a Olimpia”. E non “varda Olimpia, la bàla. S’è bea la bàla. S’è la bàla di Olimpia. Desso la mama te dà la tò bala”.
In effetti una differenza fra un certo nord ed un certo sud esiste ed è innegabile. Giù in Puglia, anche la vecchina che ha fatto la terza elementare cerca di parlare in italiano con il neonato e di insegnarglielo. Magari dirà “vuoi bevere?”, ma almeno ci avrà provato. Qui in Veneto, l’italiano è la seconda lingua e molti veneti mi hanno detto di essersi dovuti sforzare di impararla alle elementari.
Da parte mia, trovo giusto parlare in corretto italiano a mia figlia. Trovo però anche importantissimo che conosca i due dialetti, alcune sfumature di senso che sono irriproducibili nella traduzione. Voi che ne dite?
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