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Attachment parenting, i principi dell’accudimento ad alto contatto

Attachment parenting, ovvero genitori ad alto contatto: cosa si intende con questo termine?

Attachment parenting

[related layout=”right” permalink=”https://bebeblog.lndo.site/post/178919/cosa-significa-essere-genitori-ad-alto-contatto”][/related]Cosa vuol dire Attachment parenting? E’ il cosiddetto metodo di crescita dei genitori ad alto contatto, che permette al piccolo di crescere secondo le basilari leggi della natura: ogni cucciolo, quando viene al mondo, ha bisogno della presenza amorevole dei genitori, è un istinto innato in ognuno di noi. Erroneamente si pensa che essere genitori ad alto contatto voglia dire viziare i bambini, tenendoli sempre in braccio, rispondendo all’istante a ogni loro piccolo lamento o pianto, ma in realtà è un metodo di crescita che prevede, oltre alla presenza, l’empatia.

I genitori ad alto contatto possono essere scambiati per genitori iper protettivi e iper presenti e vengono spesso criticati per alcune scelte, come quella di portare sempre i bambini con se, in fascia o marsupio, di allattare spesso il bambino, ogni volta che lo chiede, di farlo dormire nel lettone. Ma l’Attachment parenting è molto di più di quello che apparentemente potrebbe sembrare e, superando pregiudizi e preconcetti, si può capire qual è la vera essenza di questo approccio.

Abbiamo chiesto ad Alessandra Boiardi, del blog Inbraccio di spiegarci meglio che cosa si intende per Attachment Parenting:

Cosa si intende per attachment parenting?

La traduzione più in uso in italiano è “genitori ad alto contatto”. Il termine indica un modello educativo e di accudimento che, diversamente dall’approccio tradizionale, riconosce nella presenza empatica, costante e molto affettuosa dei genitori la risposta alle esigenze dei piccoli. Di fatto lo stare in braccio, accanto ai piccoli, in costante contatto fisico, cercare momenti di condivisione… favorire insomma uno stretto legame con il piccolo intendendolo come soddisfacimento di necessità innate e, se posso usare questo termine, legittime, da parte dei bambini. Anche l’allattamento prolungato per esempio, cioè ben oltre i sei mesi convenzionalmente indicati come epoca d’inizio dello svezzamento classico rientra nel modello di genitore ad alto contatto.
Anche in Italia si sta inoltre diffondendo la pratica del portare i piccoli con fasce e marsupi ergonomici più o meno strutturati (argomento che meriterebbe un approfondimento a sé) proprio per rimarcare la necessità di contatto fisico tra genitore e figlio.
Questo naturalmente non significa che anche i genitori ad alto contatto non abbiano come obiettivo quello di rendere progressivamente autonomi i propri figli, anzi l’idea è che proprio assecondando le necessità e i tempi di ognuno si faciliti una crescita senza traumi.

Cosa rispondi a chi ti chiede se così facendo si “viziano” troppo i bambini?

Ecco una domanda da non fare a un genitore ad alto contatto! La risposta potrebbe non essere diplomatica! Scherzi a parte, è in effetti una domanda a cui mi capita spesso di rispondere. Intanto rispondo che i bambini non hanno vizi bensì esigenze, che attraverso il pianto mia figlia prova a farmi capire che qualcosa non va, non certo che è viziata o ancora peggio cattiva. Che non è negando soddisfazione ai loro legittimi istinti che si fa il loro bene, anzi io credo che assecondare una relazione affettuosa sia indispensabile per una crescita equilibrata. E poi consiglio letture illuminanti, come “E se poi prende il vizio” della psicologa perinetale Alessadra Bortolotti, perché certi argomenti necessitano di approfondimento prima di essere “scartatati” come vizi.

Che differenza c’è tra genitori ad alto contatto e genitori iper protettivi e iper presenti?

L’approccio educativo che prevede di accudire amorevolmente i propri figli favorendo le loro richieste, dallo stare in braccio al dormire nella stessa camere o nello stesso letto (quello che viene definito co-sleeping) all’allattare a richiesta anche quando l’esigenza non è strettamente legata a necessità di nutrimento, e così via è una scelta consapevole al di là di qualsiasi definizione. Ogni genitore agisce come meglio crede per il bene del proprio figlio, ma secondo me ciò che fa la differenza è la consapevolezza di quello che si sceglie per i propri piccoli. Definizioni come “iper protettivo” o “iper presente” portano con sé una connotazione negativa che nell’attachment parenting non esiste, poiché al genitore ad alto contatto non interessa “controllare” i propri figli, ma prendersene cura con amore.
Aggiungo che anche il “rigore”, così come è comunemente inteso, è lontano dall’idea di attachment parenting proprio perché parte dal presupposto di negare la legittimità delle esigenze innate dei più piccoli, restituendo un modello educativo che si esprime al contrario attraverso la loro negazione, secondo la credenza che il neonato non sa ciò che è meglio per lui.

Tre aggettivi per descrivere questo metodo, quali useresti?

Sicuramente il primo aggettivo che mi viene in mente è “empatico” (nota a margine: per questo il mio blog si chiama, InBraccio, il blog delle mamme empatiche); amorevole; istintivo.

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