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I racconti di Carnevale da leggere per la scuola dell’Infanzia

Non solo canzoni di Carnevale, come quelle riportate nel video qui sotto, ma anche tantissimi racconti di Carnevale che possiamo leggere

Racconti di Carnevale per la scuola dell'Infanzia

Quali sono i racconti di Carnevale per la scuola dell’infanzia migliori da leggere ai nostri bambini che vanno all’asilo? Tantissimi i racconti di Carnevale in rima e non che possono raccontarci tante belle storie legate ai personaggi tipici di questa festa, ma anche agli usi, ai costumi, alle usanze che caratterizzano il periodo.

Ecco, allora, alcuni racconti di Carnevale per la scuola dell’infanzia, che possiamo leggere ai piccoli che saranno ben lieti di rappresentare poi con tanti bei disegni!

Ogni scherzo vale di Gianni Rodari

In una città del regno di Feltro – Feltro, c’era una volta un cappello senza testa che passeggiava per le strade. Oltre che senza testa, il cappello era anche senza pancia, senza piedi e senza mani. Insomma, era senza niente. La gente diceva: E’ scappato dalla bottega del cappellaio. E’ un cappello pericoloso, portatelo in prigione. Calma disse il cappello oggi è la festa di Carnevale e, come tutti sanno, a Carnevale ogni scherzo vale. Proprio così. Il cappello aveva scherzato e aveva voluto spaventare la gente. Alla fine della festa, infatti, tornò sulla testa del re. Da allora, nel regno di Feltro – Feltro, nel giorno di Carnevale i cappelli vanno a passeggio da soli.

La fuga di Pulcinella di Gianni Rodari

Pulcinella era la marionetta piú irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all’ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica. «Un giorno o l’altro,- egli confidava ad Arlecchino, – taglio la corda». E cosí fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscí a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l’altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino: «Vieni con me».

Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri. «Andrò da solo» decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. «Che bellezza, – pensava correndo, – non sentirsi piú tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole».

Il mondo, per una marionetta solitaria, è grande e terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscí a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò. Allo spuntare del sole si destò e aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d’occhio, non c’erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. «Pazienza» si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo piú delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e cosí fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma cosí profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l’inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva piú nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano. «Pazienza – si disse Pulcinella- morirò qui. Non è un brutto posto per morire. Inoltre, morirò libero: nessuno potrà piú legare un filo alla mia testa, per farmi dire di sì o di no». La prima neve lo seppellí sotto una morbida coperta bianca. In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava: «Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C’è qualcuno piú felice di me? » . Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. E’ ancora là sotto e nessuno lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.

Via | rosalbacorallo

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