
Il decreto legislativo 151 del 2001, integrato con alcune aggiunte e modifiche nel 2007, stabilisce la normativa in fatto di maternità e di congedo obbligatorio dal lavoro per la mamma.
Secondo la legge, l’estensione obbligatoria dal lavoro (dipendente) è di 5 mesi così distribuiti: 2 mesi prima del parto o della data presunta di questo (congedo pre-parto), e 3 mesi dopo la nascita del bambino (congedo post-parto). Questo periodo è, però, soggetto a flessibilità qualora la madre lo richieda.
Ovvero, la lavoratrice può chiedere di continuare a lavorare fino all’ottavo mese (astenendosi, quindi, solo nell’ultimo mese di gravidanza), in modo da sfruttare 4 mesi di congedo dopo che il bambino sia nato. Questo è possibile solo laddove il medico (di base o ginecologo convenzionato ASL) certifichi che la donna gode di perfetta salute e non esistono rischi per lei, e per il nascituro, ne proseguire l’attività lavorativa.
Il congedo obbligatorio è previsto anche in caso di adozioni e affidamento (congedo post-partum) e di aborto spontaneo o terapeutico avvenuto dopo il 180mo giorno dall’inizio della gestazione (congedo post-partum). Dal 2007 sono incluse, nella normativa, anche le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell’Inps, mentre ne sono escluse le lavoratrici autonome con o senza partita IVA.
Nel caso di nascita gemellare il congedo obbligatorio di maternità non raddoppia! E lo stesso discorso vale per adozioni o affidamenti di più bimbi contemporaneamente. Se la gestante ha richiesto la maternità flessibile, questa può essere interrotta qualora insorgano problemi di salute, e il congedo può partire da subito.
Invece in caso di parto posticipato rispetto alla data presunta, il congedo pre-parto è, ovviamente, prolungato. Se, invece, il bambino nasce prematuro, i tre mesi del congedo porst-partum si contano ugualmente dalla presunta data del parto e la mamma può anche usufurire dei mesi di congedo pre-parto non goduti. Tutto chiaro?
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